Come si coltiva la memoria? Con tenacia e consapevolezza, ma soprattutto con l’impegno a non trasformare il ricordo in un rituale vuoto che si estingue in una cerimonia ricorrente e ripetitiva. La memoria ha senso solo se serve a qualcosa. E serve a qualcosa soltanto se è condivisa nel profondo.
La memoria della Shoah non deve diventare un atto di omaggio alle vittime, ai milioni di vittime. Ha invece da essere la consapevolezza che questa terribile storia è accaduta nella nostra comune Europa e che quel vissuto di male in terra quale non s’era mai visto prima di allora appartiene a tutti noi. Come ha tenuto a sottolineare ieri il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in occasione della celebrazione del “Giorno della Memoria” al Quirinale, il cammino dell’umanita’ e’ purtroppo costellato da stragi, uccisioni, genocidi; tutte le vittime meritano uguale rispetto. Ma la Shoah per la sua micidiale combinazione di delirio razzista, volonta’ di sterminio, pianificazione burocratica, efficienza criminale, resta unica nella storia.
Solo appropriandoci, in quanto europei e italiani, della storia della Shoah, solo insistendo nel considerarla parte del nostro passato, solo così la memoria ha senso. Perché essa non appartiene tanto alle vittime, che la rinnegano perché avrebbero avuto diritto a una storia diversa, di vita e non di morte, quanto a chi la ha costruita, perpetrata, vista, condivisa.
Questo deve essere il Giorno della Memoria, in Italia e in Europa: un momento di condivisione di quella storia, un momento di profonda consapevolezza che questa storia ci appartiene.
Più che mai in questo 2018 che segna per l’Italia un anniversario tanto tragico quanto importante: perché ottant’anni fa iniziava ora la lunga stagione delle Leggi Razziali, un tempo segnato da diverse fasi in cui intorno alla millenaria comunità ebraica del nostro Paese, ormai integrata alla perfezione nel tessuto sociale, civile, culturale ed economico, si strinse a poco a poco la morsa della segregazione, del disprezzo, dell’odio. E poi della persecuzione, della caccia all’ebreo, strada per strada, casa per casa.
In questo lungo cammino dell’ingiustizia e dell’orrore, fatto di tanti passi diversi che prendono le mosse da molto lontano – pensiamo a quel lontano 1931 in cui ai docenti universitari del Regno fu imposto un giuramento di fedeltà al regime fascista, e quanti pochi dissero “no”, venendo espulsi – il momento più terribile è quel 1 ottobre del 1938 in cui le porte delle scuole di ogni ordine e grado si chiusero in faccia agli studenti ebrei.
Fu l’infamia peggiore di tutte, questa, nel progetto di “purificazione” del nostro Paese che prevedeva l’isolamento totale della “macchia” ebraica. Fu, soprattutto, l’anticamera della persecuzione e dei campi di sterminio. Perché i nazisti che dal settembre del 1943 divennero gli occupanti ebbero gioco assai facile quando si trattò di rintracciare, arrestare e deportare gli ebrei italiani.
In questa storia terribile i bambini non sono soltanto il simbolo della vittima innocente; sono lo spettro di una prevaricazione e una violenza assurde, di un mondo che aveva perso i propri fondamenti di civiltà e si dava a emarginare, perseguitare, sterminare i bambini.
Per questo proprio in quest’anno in cui cadono gli ottant’anni dalle Leggi Razziali è più che mai giusto ricordare quel milione e mezzo di bambini che sono scomparsi nella Shoah e quei tanti italiani fra loro cui prima di partire per quel viaggio dentro i vagoni piombati le Leggi Razziali hanno negato ogni dignità, ogni normalità.
Proprio ieri una bambina al Quirinale ha chiesto a Liliana Segre la ragione per la quale non fosse piu’ voluta tornare al campo di concentramento in cui era stata internata. Parole semplici e strazianti quelle della neo nominata Senatrice: “Ci sono certi cancelli e certi fili spinati che la mente e il cuore non possono superare, da cui non si puo’ uscire ed entrare…”. Per questo è fondamentale continuare ad ascoltare quelli fra loro che sono ancora fra noi, che hanno ancora la voce per raccontare ai bambini e agli adulti di oggi.
Le istituzioni Italiane in Israele onorano anche quest’anno il Giorno della Memoria, istituito nel nostro Paese nel 2002 con una legge che precede la sua designazione internazionale da parte dell’Assemblea dell’ONU nel 2005.
E anche quest’anno alla cerimonia di commemorazione presso la Tenda della Rimembranza è associato un momento di riflessione comune che parte dalle pagine del libro di Liliana Picciotto Fargion e arriva attraverso di esso alle voci di chi si è salvato, e ha potuto raccontare.
Che il ricordo di chi non c’è più sia in benedizione e aiuti tutti noi a costruire un mondo migliore.